Auguri Massimo Girotti, ovunque tu sia

101: questi gli anni che avrebbe compiuto oggi Massimo Girotti.

Sono giorni che rincorro i suoi innumerevoli film in rete e per le mediateche d’Italia, studiandolo a fondo e cercando di scorrere la sua lunghissima filmografia, guardando quanti più film mi riesce, fra un impegno e l’altro.

Grande attore e personaggio-chiave per scoprire tanto nostro cinema, rientra – ahimè! – in quel folto numero di artisti scivolati nel dimenticatoio o giù di lì.

Eppure vorrei conoscere chi non ha mai visto, almeno una volta nella vita, un suo film, avendo Girotti lavorato quasi ininterrottamente con una lunghissima serie di registi, che va da Blasetti a Ozpetek, passando per Visconti, Antonioni, Germi, Pasolini e Bertolucci, tanto per citare i più noti al grande pubblico.

Se si vuol capire quanto un artista sia stato accantonato per far spazio ad altri, basta scorrere la bibliografia che lo riguarda.

Per Massimo Girotti ci sono solo due libri: uno è fuori catalogo, la qual cosa non mi scoraggia, perché non intendo darmi per vinta e conto di poterlo recensire proprio in questo blog; l’altro invece l’ho acquistato ed è una monografia bellissima, che da sola ne vale due.

Massimo Girotti – Cronaca di un attore (parafrasando un suo celebre film) è un libro nato dalla tesi di laurea dello stesso autore, Roberto Liberatori, che ebbe la felice e fortunata opportunità di farla intervistando in più incontri lo stesso Girotti, che potè apprezzarla, una volta terminata.

Questo nucleo originario, già rigoroso e ben costruito, si è andato poi arricchendo e completando negli anni attraverso interviste a colleghi e registi, film recuperati e documenti consultati, fino ad armonizzarsi in un’opera di 159 pagine di grande formato e pregevolissimo lavoro tipografico.

Il libro conta su ben due editori: il prestigioso Centro Sperimentale di Cinematografia, che gli ha potuto garantire – detenedone i diritti – un ricchissimo corredo fotografico e Tekeditori, a cui potrete rivolgervi, qualora abbiate difficoltà a reperire l’opera.

Una ricerca ben fatta ha però poi bisogno di una bella stesura e questa monografia è una lettura gradevole, che evita nozionismo e cadute di interesse. Scorre dalla prima all’ultima pagina, offrendosi egualmente allo studioso o all’appassionato.

Una nota a parte merita il garbo di Liberatori nell’entrare nella vita privata dell’attore. Questo è un aspetto che io apprezzo sempre, perché lo scivolone nel pettegolezzo nel nostro mestiere è sovente, spinti dall’andazzo e dalle pressioni di editori o direttori.

Scrivendone la biografia per introdurre l’artista e per legare alcune scelte professionali fra loro, l’autore apre sulla lunga carriera di Massimo Girotti, affrontando ogni singola pellicola e concedendo a ciascuna uno spazio opportuno, mai prolisso né approssimativo.

Massimo Girotti e Lucia Bosè in Cronaca di un amore di Michelangelo Antonioni (1950)

Ciascun titolo ha infatti lo spazio a esso utile per dare informazioni, offrire riflessioni e aiutare il lettore a seguire il percorso artistico, che in Girotti ha sempre un riverbero nella crescita personale.

Questo suo essere così riservato, così profondo, così attento nella scelta dei ruoli, così permeabile al clima del set, così aperto alle opportunità nuove fa di Girotti un artista mai pago, sempre teso a migliorarsi in un continuo lavoro su se stesso come artista e quindi come uomo, perché in lui non è appunto possibile scindere i due aspetti.

Niente affatto incline alla mondanità e vanagloria del mestiere, lo vive con la stessa disciplina con cui affronta la vita.

Insicuro, certo, ma nello stesso tempo perfettamente consapevole dei personaggi che gli si confanno, per sfida o per sensibilità, per mestiere o per traguardo, tanto da scegliere spesso ruoli non da protagonista, ma che comunque lasciano nel film una sua precisa impronta.

Credo che fosse già nel suo istinto, magari poi affinato dall’esperienza e dai maestri incontrati lungo il proprio cammino artistico, ma è certo che Massimo Girotti ha saputo crearsi una lunga carriera, che mai lo ha portato a un reale stallo, come è venuto invece per altri suoi illustri colleghi.

Ha avuto anni “minori”, ma ha sempre saputo gestire la propria carriera toccando più volte le vette della notorietà a differenza di colleghi che, superato il momento d’oro, hanno poi vissuto un lento declino o l’oblio.

Massimo Girotti ha invece sempre saputo – anche se non so quanto consapevolmente –  gestire gli alti e bassi del proprio successo, compensando i secondi con momenti di crescita artistica o di conquista di un tipo di pubblico o di notorietà differenti: così con il teatro, così con la grande stagione degli sceneggiati televisivi, che allora erano affidati al gotha del teatro italiano.

Lui che era stato scelto per la sua magnifica fotogenia, che aveva imparato sul campo e con lezioni private questo straordinario mestiere, poteva dire di essere diventato negli anni un attore di razza, capace di calcare i teatri più prestigiosi sotto la direzione di Zeffirelli, Visconti e Ronconi.

Eppure il suo atteggiamento negli anni non era cambiato, si era fatto di certo più consapevole del mestiere, il suo volto più intenso, ma mai divo, mai primadonna, sempre aperto alle idee dei giovani, sempre pronto a rimettersi in gioco.

Credo che la sua lunghiassima carriera si apra e si chiuda con due film che in qualche modo la rappresentino.

La corona di ferro di Blasetti (1941) è il suo primo ruolo da protagonista ed è solo il suo quarto film (per dire quanto la sua gavetta – iniziata solo due anni prima – fu breve!).

Questa pellicola rappresenta il trampolino di lancio di un giovane e bellissimo attore alle prime armi con una fisicità straordinariamente insolita per l’Italia di allora, che entra nel cinema per questo, ma che subito svela un talento istintivo, che – se in mano al giusto regista – promette grandi cose.

La finestra di fronte di Ozpetek (2003) è un film terminato a un passo dalla sua scomparsa, in cui Girotti ci lascia un personaggio che è l’emblema della propria capacità recitativa, che non è mai declamazione, esternazione.

Un personaggio che vive di pochi gesti o parole, ma nessuno di questi a vuoto o a caso. Niente si perde, nemmeno uno sguardo, perché ogni cosa è interpretazione.

Si tratta di quel suo inconfondibile modo di recitare, che è rimasto la sua cifra: Girotti non vive i personaggi né questi gli esplodono in petto, al contrario li fa uscire da sé come da una lampada di Aladino.

Ogni sbuffo da quella lampada è un pezzo di quel puzzle che alla fine compone il personaggio, che nella sua carriera è spessissimo un personaggio che si rivela a se stesso e allo spettatore, che fa un cammino, che non è quasi mai una linea retta.

In Girotti tutto è misura, tranne il talento. In filigrana però resta sempre l’uomo e per parlare di lui ho chiesto aiuto a sua figlia Arabella. (Continua)

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