Barbie: 60 e non sentirli

Correva l’anno… beh, lasciamo perdere. Ero una bimbetta che con tutta la famiglia si ritrovava a San Marino per le nozze dello zio più giovane.

In Italia la Barbie non si trovava ancora in tutti i negozi di giocattoli e le mie cugine di Roma furono in famiglia le prime a possederne una.

Era arrivata direttamente dall’America, dove lo zio materno napoletano era finito a fare il neurochirurgo, visto che già allora il sistema sanitario nazionale scoraggiava i giovani cervelli.

Mio papà, sempre pronto a viziarmi, ne aveva trovata una per me in un negozio della piccola repubblica sammarinese: la mia prima Barbie aveva un abito a quadrettini bianchi e neri, due testine intercambiabili per avere due acconciature, sandaletti minuscoli e una borsina favolosa.

La Cina era lontanissima e ogni accessorio era fatto a dovere: le chiusure, i bottoni, le etichette, tutto era curatissimo. La trovai deliziosa, ma ero piccolina e ancora morivo per i bambolotti. Dovetti attendere i 10/11 anni per innamorarmi di questa bambola, per cui costruii una magnifica casa con tanto di negozio di abbigliamento annesso: tanti erano i vestiti e gli accessori nel frattempo accumulati.

Non crediate però che fossero tutti comprati, perché avevo una nonna e una mamma con le mani d’oro per uncinetto, maglia e cucito e fin da allora detestavo le cose in serie.

Addirittura mia madre mi confezionò un piccolo paltò con tanto di collo in visone. A quei tempi la coscienza animalista era lontana e si andava dalla pellicciaia per modificare colli, manicotti, pellice intere e i ritagli venivano sempre restituiti in segno di onestà.

Il 9 marzo la Barbie ha compiuto 60 anni, ma che bambola, ragazzi!  Io la ricordo finalmente in ogni singolo negozio di giocattoli solo alle soglie degli anni Ottanta, quando la trovai in vendita anche nel mio paesino natale.

Era la bambola della prima adolescenza, quando i bambolotti già davano disagio, ma ancora non ci si sentiva così grandi da abbandonare i giochi. Ora non so, mi sembra che dall’infanzia si passi allo smalto, noi ci abbiamo messo invece anni.

Ken non l’ho mai avuto, non mi interessava. Con due fratelli maschi più grandi e una fantasia sempre galoppante, finivo col giocare con Geronimo, il loro pupazzo indiano, con tanto di ascia e piume, tutto rigorosamente in plastica.

Del resto io giocavo anche con i soldatini americani, che avevano le soldatesse, per cui riuscivo comunque a inventarmi storie d’amore: sono sempre stata una romanticona tutta fate e principesse.

Ho però sempre avuto anche un lato minore da maschiaccio che ogni tanto faceva capolino e così, quando d’estate andavo nella gigantesca casa che dei miei zii avevano affittato da dei baroni, se non giocavo a calciobalilla, finivo dietro i divani di un grande salone armata di vecchie grucce di legno a “sparare” con i miei adorati cugini. La passione per gli sport di mira deve essermi nata allora.

Quando ci stancavamo, passavamo alle storie paurose, inventate a guardare i ritratti d’antenati della padrona di casa appesi nel salone da pranzo o partivamo in improbabili perlustrazioni della parte non abitata della casa.

La Barbie era dunque quel momento tutto mio, in cui sperimentavo il mio lato femminile della bambina che più non ero e della ragazza che ancora non ero diventata.

Già allora c’erano tanti giochi della Barbie a cominciare dalla casa, ma non mi interessavano, perché troppo finti e troppo rosa, colore che ho sempre detestato.

Quindi, per una come me con una fantasia tanto vivida, il massimo era costruirsela la casa di Barbie.  Ed è quello che appunto feci.

Mia madre mi aveva ceduto un mobile in veranda e non vi dico le ore che ho passato fra quei ripiani, diventati camera, bagno, cucina e negozio.

Smisi per “sopraggiunti limiti d’età”, non perché proprio ne avessi voglia.

Mi risulta che la Barbie oggi non goda della fortuna che le tributammo, evidentemente l’immaginario infantile è cambiato o la pubblicità martellante l’ha spinto verso altro, ma resta un’icona del Novecento, sopravvissuta al cambio di millennio.

Una bambola che è stata sempre il termometro dei mutamenti di costume: questo è ciò che l’ha resa sempre attuale.

A questa bambola deliziosa, compagna di tanto tempo lieto, auguro infiniti anni ancora e di ritrovare quella cura nei dettagli che le logiche di mercato hanno disperso fra le catene di montaggio asiatiche.

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2 thoughts on “Barbie: 60 e non sentirli

  1. Il tuo racconto della Barbie mi è piaciuto molto anche perché anche a me piacciono molto, soprattutto quelle snodabili, e poi abbiamo la stessa età. Penso anch’io che ha avuto tanto successo perché aveva le sembianze di una ragazza. Diciamo che rappresentava il futuro per le bambine, come le top model di oggi

    1. Cara Flavia, se hai festeggiato gli anni della Barbie e ancora ti piacciono, allora confermi la mia teoria che… una Barbie è per sempre! Anche se solo nel cuore.

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