Cinquant’anni senza Totò

Il 15 aprile saranno cinquanta gli anni senza Totò e da giorni leggo articoli su di lui. Sembra incredibile quante inesattezze e – a volte – sciocchezze si siano scritte sulla vita di quest’uomo e come ancora qualcuno le spacci per aneddoti e fatti, alimentando una confusione diffusa per anni dopo la sua morte.

Faccio una digressione. Totò l’ho incontrato da spettatrice a sette anni in un cinema parrocchiale di Trieste. A quei tempi c’era solo la RAI, che non trasmetteva per ventiquattr’ore e non abbondava in film, quindi il grande schermo manteneva intatta tutta la sua magia.

Il lungometraggio in cui conobbi Totò era Siamo uomini o caporali?. Di certo un po’ difficile per una bimba tanto piccola, eppure ricordo ancora le scene che allora mi colpirono. Totò entrò così nella mia vita e da allora non ne è più uscito.

Quando cominciai a studiare la nostra cinematografia fu quasi logico pensare a lui come al prima artista che avrei voluto conoscere a fondo. Avevo visto quasi tutti i suoi film, comprati quelli che si trovavano e registrati quelli che mi era riuscito. Avevo anche iniziato a comprare libri su di lui, ma c’era poco e quel poco non mi bastava e in alcuni casi non mi convinceva, mentre della sua prima biografia, scritta quando ancora era in vita, non c’era più traccia. Lo adoravo – e lo adoro – quindi la paura di leggere cose che lo sminuissero, nella grande considerazione che già avevo di lui, mi spaventava.

Nell’edicola della vecchia stazione di Bologna un giorno mi imbattei nella sua biografia, scritta a quattro mani dalla sua ultima compagna, Franca Faldini, e da Goffredo Fofi: Totò. Si trattava della riedizione di Totò: l’uomo e la maschera edito nel 1977 e ormai introvabile. Lo divorai e fui riconoscente agli autori per avermi parlato dell’uomo Antonio de Curtis, consolidando in me il grande affetto che da anni già gli portavo.

Era quello il ventennale della sua morte, per il venticinquesimo Renzo Arbore organizzò uno speciale televisivo, che non mi persi, e così altri fondamentali tasselli della storia di Totò andarono a posto.

Chi però mise in piena luce la vita di questo straordinario artista fu la figlia Liliana. Mesi dopo la trasmissione di Arbore, ma nello stesso anno, diede alle stampe Totò mio padre. Lo trovai letteralmente sotto l’albero di Natale, aspettai che tutti fossero andati a letto, dopo il grande cenone della Vigilia, e mi sedetti a leggerlo. Andai a dormire solo dopo averlo finito. Superfluo dire che avrei poi acquistato ogni libro scritto dalla figlia.

Ora, se alcuni di quelli che su di lui hanno scritto articoli in questi giorni, con la fretta per l’imminente ricorrenza o con la foga di chi non vuole perdere l’occasione di “esserci”, si fossero lette queste due biografie, ci avrebbero risparmiato molte di quelle inesattezze e sciocchezze di cui dicevo al principio.

Va anche ricordato, per il grande e prezioso lavoro sull’artista Totò, il magnifico programma di Giancarlo Governi TotòCento per il centenario della sua nascita, nel 1998. Un appuntamento straordinario che, se riproposto, sarebbe il miglior omaggio al Principe in questa triste e mesta ricorrenza, come recitavano alcuni suoi versi della meravigliosa ‘A livella.

In copertina: Totò con Franca Faldini

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