Cucina, mon amour!

Il mio incontro con i fornelli risale alla quinta elementare, quando mia mamma mi regalò Il manuale di Nonna Papera e per l’occasione mi confezionò un grembiule con il garbo che l’è proprio anche negli hobby. Lo conservo ancora fra le cose care.

Nella mia famiglia sono state tutte cuoche provette e io ho amato cucinare fin dalla mia prima ricetta: Panini d’oro in sinfonia.

Dimenticai il burro e furono buoni per piantare chiodi, ma non mi abbattei di certo né mi scoraggiai. La ricetta seguente, I biscotti del drago, fu un successone!

Col tempo cucinare fu un delizioso passatempo, una necessità e una passione. In quest’ordine. Oggi mi ci dedico con metodo, studiando e sperimentando.

Da mia madre non ho preso il senso artistico nella presentazione dei piatti, ma sulla sostanza mi prendo le mie soddisfazioni ogni tanto anche con lei e questo per me è un orgoglio che non sa di competizione, ma di riconoscenza.

La cucina è un atto d’amore verso gli altri commensali, perché si dà il proprio tempo, il proprio impegno. A volte ore di lavoro svaniscono in un pasto di poco più di un lampo.

Può anche non piacermi quello che mangio, ma riesco sempre ad apprezzare il gesto che c’è dietro a un invito. Meglio un piatto non riuscito, ma fatto con tutta l’arte di cui si è capaci, che un manicaretto svogliato che non vale il tempo del pasto.

La cucina racconta molto di chi la prepara: la sua personalità, l’amore profuso, la cura, la preparazione e direi la stessa cultura.

Adoro ricevere e adoro essere invitata, perché se nel primo caso alla preparazione va la mia attenzione nel secondo è al convivio, quindi amo entrambi gli aspetti del cibo.

Quando cucino amo farlo in modo sano, ma gustoso, tenendo presente i principi della medicina preventiva e di una sana alimentazione.

Da mia madre ho imparato ad “alleggerire” anche le ricette tradizionali, conservandone il gusto e guadagnandoci in digeribilità e salute. Mi rifiuto però di mangiare una cucina priva di sapore fatta solo di “senza”.

Considero la tavola come uno dei grandi piaceri della vita, ma non ne comprendo gli eccessi, che niente hanno a che vedere col gusto.

Sono uno spirito libero e quindi l’unico limite che riconosco è la tossicità di un piatto, e non se è vegano, vegetariano o a base di carne.

Non sono astemia, anche se bevo poco, perché un piatto si esalta con il vino e perfino con la birra giusta.

Non amo la fusion né la molecolare né il sushi né la nouvelle cousine, ma, prima di affermarlo con certezza, le ho ampiamente assaggiate.

La prima perché sono per le cose nette e un wafer farcito ad esempio di crema di pesce non rientra nei miei canoni, la seconda perché una parmigiana la preferisco assemblata e non con la melanzana in spuma in un bicchiere da Martini, il terzo perché ciò che si è mosso lo preferisco ben cotto e la quarta perché proprio va oltre il mio concetto di buon cibo.

Ma il bello della cucina è proprio questo: nulla è assoluto e tutto è opinabile in base al proprio gusto.

Un’acquirente compulsiva di libri come me non può ovviamente non averne un’assortita raccolta sulla cucina, che tengo più per cultura generale e traccia che come bibbia: per carattere alla lettera non seguo nulla, metto sempre del mio. È più forte di me.

L’unica eccezione la fanno i libri portati da qualche viaggio, in quel caso cerco di essere un po’ più ligia per non alterare i sapori, ma sui grassi e gli zuccheri dico sempre la mia.

Quando visito un Paese o anche solo un angolo d’Italia non tralascio mai la gastronomia, perché la cultura di un popolo passa anche dai fornelli.

In conclusione, nel mio immaginario un buon piatto è un armonioso equilibrio fra gusto, salute, territorio, tecnica e creatività.

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