Giovanna Minelle, una fotografa e il suo viaggio in solitaria (12)

Giovanna Minelle si lascia alle spalle l’esperienza dell’ashram di Sai Baba e arriva in una delle città indiane che più di altre ha sempre desiderato visitare.

Calcutta
La stazione di Howrah è affollata di passeggeri: chi arriva chi parte chi aspetta, un brulicare in perenne movimento. I treni a volte portono ritardi di ore, ma l’app delle ferrovie ne aggiorna continuamente lo stato: l’India è anche questo, costantemente in bilico fra l’immobilismo e la modernità.

Sono a Calcutta!!! Sono nella città che ho visto nei film, nei documentari, di cui ho letto nei libri, che ho cercato sul mappamondo e sul planisfero. È la citta sulla quale ho fantasticato fin da bambina (chissà perché), l’ho studiata, l’ho immaginata e ho sognato di arrivarci. E quel giorno è oggi! 

Con un taxi prepagato mi dirigo al tempio buddista nei pressi del quale ho prenotato una stanza. Dopo pochi chilometri scopro però che il taxista non sa bene dove andare e non parla inglese. Gli mostro allora il nome del quartiere in cui sono diretta, ma il risultato non cambia. Continuiamo a girare, quasi senza meta. Ci fermiamo a chiedere informazioni ai pedoni che, fra indicazioni in bengali e in inglese, ci aiutano finalmente a trovare la destinazione.

Alla reception – una stanzetta buia arredata tutta in legno scuro – una lady molto inglese mi dà il benvenuto.

Mi anticipa che il bagno sarà in comune con altri ospiti, tutti indiani, il che per me vuol dire che rimarrà occupato molte ore al mattino presto, perché – da quel che mi è parso durante questo lungo viaggio – gli Indiani amano lavarsi con tanta acqua e tanto sapone a lungo, molto a lungo.

La stanza ha una finestra sul cortile dalla quale posso vedere il tempio. È spartana, direi adatta per chi sceglie di fare penitenza. Non mancano però numerose prese di corrente utili per caricare il cellulare e la batteria della macchina fotografica.

Sono qui per realizzare un sogno e per visitare un’azienda tessile, ma ho un paio di giorni prima dell’appuntamento e quindi ho il tempo di esplorare la città.

Provo l’efficienza di tutti i mezzi pubblici: il traghetto sul fiume Hooghly, i bus urbani, i ciclorickshaw, gli autorickshaw e perfino quelli trainati a braccia.

Una mattina presto, prima delle sette, mi incammino lungo il binario che affianca il fiume, ai cui lati una fila di baracche si sta risvegliando.

Vi incontro venditori di chai, di samosa¹, di collane di fiori arancioni destinate agli dei e di gelsomini per le acconciature profumate delle donne.

Sui ghat² del fiume Hooghly è l’ora delle abluzioni. Sull’altra sponda la vista imponete della stazione dei treni mi appare come un’opera architettonica straordinaria.

Calcutta non è ancora sveglia né eccessivamente afosa. Regna un modesto silenzio, affinchè la vista, l’olfatto, e l’udito possano restare concentrarti su quanto sta accadendo intorno a me.

Raggiungo il mercato dei fiori dove una moltitudine umana contratta e acquista chili di fiori di ogni genere come ogni giorno. Il profumo riempie l’aria e i miei polmoni, la vista è appagata da tanta abbondanza di colori, mentre l’udito accoglie il vociare che caratterizza tutti i mercati.

A piedi sono arrivata fino al ponte Howrah. Lo percorro in tutta la sua lunghezza, fotografando gruppi di uomini che trasportano sopra la testa enormi bidoni di latta.

Sul ponte, come nelle stazioni e metropolitane è vietato fotografare, ma a me non importa: le foto che riesco a rubare valgono il rischio.

Sono alla stazione dei treni, dove una folla enorme forma onde difficili da affrontare senza rischiare di esserne risucchiati e trascinati altrove. I binari sono facilmente raggiungibili, qui non ci sono sopraelevate e così posso camminare lungo i treni in sosta e sbirciare all’interno.

Cerco volti, sguardi, sorrisi. Provo a fotografare lo stato d’animo di quelle anime che vivono l’attesa della partenza, affacciandosi al finestrino.  (Continua)

¹ I samosa sono un tipico cibo di strada. Si tratta di fagottini fritti ripieni di un impasto speziato fatto di patate e piselli.

² I ghat sono scalinate che scendono verso cosi o specchi d’acqua.

Le foto sono state gentilmente concesse dalla Signora Giovanna Minelle, che ne conserva tutti i diritti. Pertanto ne è vietata ogni riproduzione o uso.

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