Giovanna Minelle, una fotografa e il suo viaggio in solitaria (14)

Giovanna Minelle è sempre più prossima a rientrare in Italia, ma non prima di aver raggiunto quell’angolo dell’India in cui batte il cuore degli esuli tibetani.

McLeod
Sono sul treno.

Nel mio stesso scompartimento c’è una famiglia con un neonato di pochi mesi. I genitori sono giovanissimi, li accompagnano i nonni del piccolo e un amico.

Il pupo ha l’aria di un bambolotto imbalsamato: non ride, non piange, non si agita, ma fa la cacca nel pannolino che finisce sui binari, lanciato dalla madre dal finestrino del treno in corsa.  Vabbè!!!

Arrivo a Pathankot nel pomeriggio e con un carretto trainato da un cavallo (furbo il driver che mi aveva detto di avere un ciclorickshaw!) raggiungo la stazione dei bus per Dharamsala. 

È oramai buio quando prendo l’ultimo pullman diretto a McLeod Ganj a quasi 2000 metri sulla catena himalayana.  Arrivo a mezzanotte, sfinita da un viaggio lungo più di un giorno.

Sul villaggio, in cui risiedono gli esuli tibetanti, scende una fresca pioggerella primaverile per nulla fastidiosa.

Un uomo mi propone una stanza nella sua guest house a un prezzo che supera il mio budget. Sono così stanca da non aver neppure la forza di contrattare. Oh, mamma! La stanza è in cima alle scale, al quinto piano.

Ho freddo. Mi riscaldo con l’acqua caldissima di una doccia che ha un confortevole soffione e mi infilo nel letto sotto una morbida coperta. La stanza ha una terrazza e un’enorme porta a vetri per accedervi.

Mi addormento guardando il cielo e il profilo delle montagne. La luce del sole sarà la mia sveglia. Mi sento avvolta in un tepore rassicurante. La vista panoramica è mozzafiato e si apre sulle cime innevate e i boschi sottostanti.

Questo anogolo di mondo non è cambiato molto da quando ci venni diciotto anni fa, se non per la fila di bancarelle che si allunga fino alla residenza di Sua Santità.

Trascorro le giornate andando al tempio, che si trova nella residenza del Dalai Lama. Mi piace restare ore seduta su una panca a guardare i pellegrini, i loro sguardi, i sorrisi e il raccoglimento con cui spingono le ruote della preghiera.

Quel posticino è un rifugio, un’oasi di pace. McLeod non sembra appartenere all’india tanto è pacifica e silenziosa.

Amo fare lunghe passeggiate sulla strada asfaltata che attraversa i boschi. L’aria è rarefatta e appena intiepidita dal sole.

Decido di lasciare il mio alloggio al quinto piano per trasferirmi in un’accogliente guest house gestita da ragazzi tibetani, con tavola calda annessa la cui cucina sforna piatti delizioni e genuini.

La mia stanza, piccola ma molto accogliente, dà su una strada secondaria, da cui posso osservare i venditori delle bancarelle.

Nel frattempo ricevo una mail da un’amica, che mi inoltra il bando di un concorso fotografico indetto da una fondazione italiana.

Leggendo sul retro del menu del ristorante i luoghi da visitare cosigliati, vedo che tra questi c’è una scuola di bambini esuli: penso subito che sarà la meta perfetta per trovare il soggetto adatto al concorso.

Raggiungo quindi il Tibetan Children’s Village, oltre i 2000 metri, e dopo un lungo pellegrinaggio tra uffici, templi, aree sportive e aule scolastiche ottengo il permesso di fotografare i bambini durante le lezioni.

Quel concorso poi lo vincerò. 

Mancano ormai pochi giorni al mio rientro in Italia, è tempo di avviarmi verso la conclusione di questo mio lungo viaggio.

Prendo così una corriera che parte alle 6 del pomeriggio per New Delhi. Sopravvivo alle oltre quattro ore di tornanti e alle 6 del mattino vengo letteralmente scaricata ai bordi di una tangenziale, dove mi assalgono le zanzare prima e i driver poi: sono arrivata nella capitale. (Continua)

Le foto sono state gentilmente concesse dalla Signora Giovanna Minelle, che ne conserva tutti i diritti. Pertanto ne è vietata ogni riproduzione o uso.

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