La generazione degli anni Venti

La generazione degli anni Venti | Aida Mele MagazineHo scritto questo articolo sulla generazione degli anni Venti lo scorso anno, dopo che a febbraio avevo perso mio padre e a giugno uno zio, entrambi nati in quel decennio.

Lo ripropongo ora qui, per gentile concessione di FrancavillaInforma.it, perché a questa generazione appartenevano anche Franco Zeffirelli (1923), Andrea Camilleri (1925) e Luciano De Crescenzo (1928), da poco scomparsi.

La generazione degli anni Venti fu quella di coloro che nacquero fra le due guerre di quel secolo folle e pur straordinario che fu il Novecento.

Una dottoressa, che visitò mio padre (classe 1925) poco tempo prima che ci lasciasse, mi disse che avremmo rimpianto gli uomini di quella generazione. Mi sono ricordata delle sue parole ora che anche un mio zio carissimo (classe 1928) non è più fra noi.

Non so esattamente perché quella dottoressa, che incontrò mio padre solo in quella occasione, mi parlò così, certo doveva avere un’esperienza diretta degli uomini nati allora, sicuramente per la propria professione ne aveva conosciuti diversi.

Io non posso parlare per grandi numeri, ma credo ugualmente di poter dire che coloro che io ho conosciuto non furono diversi nei tratti salienti dai tanti Italiani di allora: uomini forgiati da un granitico senso del dovere, del decoro, consapevoli che il sacrificio fosse la via maestra, sempre con lo sguardo avanti, ma con i piedi saldi nella propria storia, come alberi dalle fronde ampie e dalle radici forti.

Fedeli alla visione della vita come cammino e come crescita, affinché un figlio fosse migliore del padre, la maturità la stagione del raccolto e la vita un eterno slancio in avanti.

Uomini appena l’esistenza l’avesse richiesto, al di là dell’anagrafe.

Se questo fu vero oltre quella generazione, è altrettanto vero che tutto ciò si diluì col passare delle decadi fino a perdersi.

Questi uomini non furono straordinari, ma furono straordinari testimoni, agli occhi di oggi, del progresso umano inteso come cammino individuale e collettivo.

Gli ovvi discorsi sul fatto che ci furono uomini degni e indegni, buoni e cattivi, non mi interessano, ciò che mi interessa è che chi fu degno della definizione di uomo, lo fu in un modo che sì oggi dovremmo rimpiangere, perché i modelli dilaganti quando non sono imbarazzanti sono pallide copie.

Il villaggio globale, che la generazione degli anni Venti guardò con disincantato distacco e a cui non si piegò, ci vuole acquattati, omologati, abulici, rassegnati e politicamente corretti. O violenti. Mai responsabili.

Dalla generazione degli anni Venti dovremmo imparare quel coraggio necessario a farci protagonisti e artefici della nostra vita.

Loro che avevano tante costrizioni sociali, cercarono sempre di superarsi per non morire come erano nati, anche quando erano nati nella parte fortunata della comunità.

La nostra società oggi vive l’età del gambero, in cui i figli sono più poveri dei padri, a volte meno istruiti di loro, meno in salute, con inferiori prospettive, con ben più grandi incognite.

Lo Stato ha smesso di creare cittadini, perché il moderno liberismo richiede servi, e la Chiesa ha dimenticato i fedeli a vantaggio dei grandi temi socio-politici.

Viviamo in tempi in cui gli idoli di eserciti di internauti sono i Ferragnez (i Brangelina de’ noantri) e il massimo del divismo nostrano patinato è Belen, i libri si leggono sempre meno e i giornali assumono sgrammaticati per le loro pagine social.

Tutto è fast, smart, easy, ma non si sa più esprimere un concetto senza intercalare l’espressione del momento.

Alla generazione degli anni Venti va il merito di aver cercato la propria strada e averla voluta a misura, usando la stoffa che la vita ha riservato a ciascuno di loro, cucita addosso punto dietro punto, a dispetto dei tempi e delle avversità, cercando di affermare se stessi e la propria unicità, cucendo quell’abito fino all’ultimo giorno.

Con pazienza, costanza e tenacia.

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