Per questo 8 marzo scelgo Totò e le donne

8 marzo Festa della Donna.

Molti sono i film che posso legare alla nostra metà del cielo, ma oggi scelgo Totò e le donne.

Forse in molte lo avrete già visto, ma vale sempre la pena di rivederlo, perché la carrellata di tipi femminili è davvero esilarante, cesellata a dovere con pochi e precisissimi tratti.

Certo, il film risulta oggi datato, ma pur tuttavia valido, perché, fatta la tara al cambiamento dei costumi e all’evoluzione (più o meno riuscita) della società, la tipizzazione è ancora oggi valida per i tratti salienti rappresentati.

Il film è della coppia d’oro Steno (Stefano Vanzina)-Monicelli, anno 1952.

Scritto da due fra i nostri più grandi soggettisti: Age (Agenore Incrocci) e Scarpelli, affiancati per la sceneggiatura dagli stessi registi.

Tonino Delli Colli ha firmato una bella fotografia, che non passa inosservata.

Il cast poi annovera, oltre ovviamente al grande Totò, nomi come Ave Ninchi (la moglie), Peppino De Filippo (il dottore fidanzato con la figlia), Lea Padovani (la prostituta), Clelia Matania (la domestica) e caratteristi del calibro di Pina Gallini (la suocera), Alda Mangini (la cliente del negozio di stoffe) e l’immancabile Mario Castellani (il Ragionier Carlini), inseparabile spalla di Totò.

Nel cast figurano anche Franca Faldini (l’amante) e Carlo Vanzina, che il papà Steno portò sul set per interpretare il piccolo vessato dalle coccole muliebri.

Un film di ottima qualità artistica e di gradevolissimo intrattenimento, uno dei titoli davvero riusciti di quel genere cinematografico in cui, per lo più, siamo, se non sempre grandi maestri, almeno abili artigiani.

Un genere che, attraversando varie fasi ed espressioni o sottogeneri, ha sempre avuto un peso notevole nella nostra cinematografia, toccando alti e bassi, ma fotografando sempre la nostra società in quel preciso momento. Forse molto più di certo cinema impegnato.

Totò e le donne è un esempio tipico di quella che è stata la nostra commedia dal dopoguerra a tutti gli anni Cinquanta e gli elementi ci sono tutti: evasione più che satira, grandi penne, grandi maestranze, mezzi economici modesti, attori di grandissimo mestiere, caratteristi che hanno fatto la fortuna del nostro cinema e grande intraprendenza e fantasia per far fronte a una censura al cui confronto quella fascista era una passeggiata!

Le forbici della censura e le libertà finalmente conquistate, se si potessero unire in un’espressione, allora questa sarebbe il vero ossimoro della nostra cinematografia di allora fino agli anni Settanta, poi – come sempre accade – data una volta la stura, si finirà invece negli eccessi opposti.

Della protervia cieca della nostra censura di allora ne sanno qualcosa i film di Totò. Chi lo direbbe oggi?

Se negli anni della dittatura si svolse la “guerra dei seni” fra la Calamai e la Durante, nel dopoguerra al massimo potemmo assistere alla “guerra dei vulcani” fra la Magnani e la Bergman.

A sintetizzare il clima perbenista di quegli anni c’è una delle più poetiche lezioni di cinema mai viste: l’ultima sequenza di Nuovo Cinema Paradiso.

Il problema non erano i seni, che mi starebbe benissimo fossero coperti anche oggi, quanto il dover dribblare qualunque possibile inimmaginabile appiglio.

Bisognava davvero avere una penna felicissima e un occhio prudentissimo per creare un’opera che potesse passare le maglie strettissime della censura di allora e ciononostante spesso ugualmente non bastava a schivare “il retropensiero” dei funzionari preposti.

Un esempio pratico di quanto detto fin’ora è il visto di censura di questo innocentissimo Totò e le donne, che pure non è scampato a qualche “suggerimento”.

Chiudo sottolineando che alcune sequenze come alcune battute del film sono ormai da antologia.

Vi lascio col mio hashtag per oggi e per tutti i giorni di ogni anno a venire #NessunoTocchiEva

Buona visione!

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *