Ventesima edizione del River to River Florence Indian Film Festival

La ventesima edizione del River to River, il festival fiorentino dedicato al cinema indiano, è stata anche la prima edizione in streaming. Una situazione di emergenza che alla fine ha rivelato quanto questa soluzione possa avere i suoi vantaggi, pur nell’irrinunciabilità a un festival in presenza.

Si riuscisse a coniugare le due formule, sarebbe un modo più proficuo di partecipare, perché l’accesso via web permette di scegliere il tempo migliore in un lasso concesso, permette di interrompere, riprendere, tornare indietro e, all’occorrenza, andare avanti durante la visione.

C’è una concentrazione e un’attenzione migliori: la sala è un’esperienza emozionale in sé nella più vasta esperienza della proiezione a cui si assiste e questo può deconcentrare, dividersi fra opzioni e rincorrere visioni fa fagocitare e poco sedimentare ciò che si vede.

La magia di una sala non si può sostituire – siamo d’accordo – soprattutto in precisi momenti del programma, ma la possibilità di gestire in modo più flessibile la scaletta aiuterebbe sicuramente una migliore fruizione della stessa. Inoltre una visione anche in streaming permetterebbe, a chi non riesce a partecipare in presenza, di non perdersi comunque il festival.

Dunque, quella che doveva essere un’edizione sacrificata, ha ugualmente soddisfatto: per l’abilità con cui in poco tempo è stata allestita, per gli interessanti e gradevolissimi appuntamenti in diretta – ma rivedibili su YouTube – dei Chiai Time e per la varietà del programma comunque offerto.

Un’edizione che ha avuto nuovo pubblico grazie proprio alla visione in streaming.

Certo, sono mancati i piccoli riti di chi si ritrova da diverse edizioni, fatti di chiacchiere, serate e cene. Sono mancati la festa di apertura, le serate in sala e soprattutto il potersi rivedere ormai fra amici più o meno stretti, ma siamo comunque riusciti a sentirci fra noi quasi giornalmente dividendoci fra le varie chat.

Uno dei lati positivi del River è proprio il ritrovarsi, la prossimità fra colleghi, fra giovani volontari e assidui appassionati, fra nuovi spettatori e figure storiche di questo festival, fra gli ospiti e tutti coloro che frequentano o gravitano intorno a questo evento.

Un appuntamento unico certamente perché dedicato al cinema indiano, ma anche per essere una finestra sull’universo India. A chi non conosce la sua cinematografia cerco sempre di far capire che pensare ad essa attraverso i pochi filmetti trasmessi raramente in tivvù è un po’ come avvicinarsi al cinema italiano attraverso i cinepanettoni.

Innanzitutto il cinema indiano non è solo Bollywood e soprattutto poi non è solo commediole sentimentali tutte sospiri e balletti colorati. Il grande merito del River sta proprio in questo: portare quante più voci possibili di un grande coro, che racconta un Paese complesso attraverso formule tradizionali, generi nuovi, linguaggi autoriali, temi attuali e dibattuti.

Soprattutto si tratta di un festival che dà spazio ai documentari, che sono una finestra straordinaria sulla realtà, e ai cortometraggi, palestra di nuovi talenti e nuove voci, spesso lontane dal coro stesso.

Di sovente un filo conduttore lega buona parte del programma, anche se temi come la condizione femminile e le sue lotte così come il tema delle diversità trovano sempre uno spazio, perché l’India è una società in movimento nonostante la tradizione sia così forte e radicata da far credere che sia un gigante addormentato.

La ruota del Khadi

L’edizione appena conclusa resterà certamente legata al numero e alla straordinarietà dei documentari – fra cui vi segnalo La ruota del Khadi per bellezza e reperibilità –  e dei cortometraggi offerti.

È stata però anche l’edizione dell’omaggio a Irrfan Khan, grandissimo attore deceduto prematuramente alcuni mesi fa, che fu ospite anni addietro del River.

È stato ricordato con il bellissimo Lunch Box, reperibile in versione doppiata, e Karvaan, straordinario road movie sicuramente visibile su qualche piattaforma.

Kadakh

Fra i film presentati vi segnalo il migliore fra tutti, Kadakh, certamente il più rintracciabile, perché a dirigerlo e a riservarsi una parte è il grande Rajat Kapoor, anch’egli già ospite del River. Forse qualcuno lo ricorderà nel ruolo dello zio in uno dei rari film indiani di qualità trasmessi in televisione: Monsoon Wending – Matrimonio indiano (2001) della grande Mira Nair.

Attore, regista e autore, Kapoor – che si divide fra teatro e cinema – ha scritto anche il soggetto e la sceneggiatura di questa dark comedy ambientata durante il Divali, forse la festività per antonomasia fra quelle indiane. Simile al nostro Natale per addobbi, luci, fuochi d’artificio, frenesia di acquisti, cene private e scambi di doni, nella tradizione hindu celebra la vittoria del bene sul male, della luce sulle tenebre.

Questo film ha aperto il festival. Troppo importante per passare inosservato, sono certa che sia già visibile su qualche piattaforma, essendo del 2019. Non intendo raccontarvelo, del resto non lo faccio mai con nessun film, ma vi dico che vi sorprenderà piacevolmente.

Potrei azzardare definendolo un film dallo humor inglese in gustosissima salsa indiana, tanto per usare una parafrasi abusata. Un film perfetto. Anche per le strette maglie della rigida censura indiana, ma questa è un’altra storia…

La Direttrice del festival Selvaggia Velo e Irrfan Khan quando fu ospite del River
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