Cento donne. Io

Un anno per elaborare il lutto ovvero un anno per imparare a dare a questo un posto nella mia vita, un senso, secondo alcuni.

Mah!

La vita è assenza della morte e viceversa, quindi manca un linguaggio comune alle due condizioni per poter arrivare a un briciolo di comprensione di qualcosa che risucchia un pezzo della nostra vita, mentre si porta via la vita di un nostro caro.

La morte per me è un atto di pura fede in nostro Signore. La fede infatti è l’unica chiave di lettura per me possibile e l’unico sollievo.

Il mio cervello non comprende come prima io abbia un padre e poi non l’abbia più. Lo vedo in mille cose, ma non esiste più.

Certo, la ruota della vita e bla bla bla.

La Sorella Morte di San Francesco non mi appare così fraterna, ma le sono comunque grata per avermi dato modo di esserci quando me lo ha portato via e ancor più per essere stata così lieve da non averlo spaventato né fatto tribolare.

Si è presentata come un soffio silenzioso, che lo ha addormentato dolcemente nel suo letto a un’età davvero ragguardevole. Circondato da infinito amore.

È accaduto un anno oggi. Una vita fa. Soltanto ieri. Il tempo ha smesso di avere un senso logico quando ci ripenso.

Mi diceva: “Sempre allegra, mi raccomando” e cerco di esserlo, non mi faccio domande e tengo per me solo il bello.

Lo sento spesso accanto e a volte lo incontro nell’unico luogo che ci è dato: i sogni, durante l’ultimo intervallo del sonno, quando non siamo così assenti a noi stessi e la realtà ancora non ci ha avuti.

Adorato papà, il tempo non ci appartiene, ma l’amore che abbiamo vissuto è solo nostro.

 

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