Un altro Natale. Uff! Di nuovo il solito refrain: «Con chi passi il 25? Vai dai tuoi parenti? Sei da sola?». «Ma che importa a voi cosa faccio, dove vado e con chi sto a Natale!» pensò fra sé.
La verità è che Piera non voleva essere “l’opera buona” di nessuno, “il piatto in più” alla tavola di chi per tutto l’anno nemmeno si ricordava se fosse viva o morta. Era sola. Come tanti in queste città affollate di gente anonima.
«O è Natale ogni giorno o non è Natale mai! Sante parole – si disse – dunque non è Natale mai… Il 25 è il giorno di Gesù? Bene, me ne andrò alla mensa della parrocchia e darò una mano per servire i pasti a chi, come me, non ha o non ha più una famiglia propria.»
Piera capiva perché in questo periodo dell’anno in tanti si sentissero depressi o addirittura disperati. La solitudine per alcuni è come una malattia infetta, che tiene lontani gli altri. Come una sorta di menomazione, un karma che suscita compassione, ma la solitudine non è nulla di tutto questo, semmai è una delle peggiori paure che l’essere umano abbia e che esorcizza a volte mettendo distanza fra sé e chi “ne è affetto”.
La “bontà natalizia” spesso sa di compassione e chi vuol essere compatito? Questo era il senso della frase “o è Natale ogni giorno o non è Natale mai”: «o per te quella persona esiste sempre o non esiste mai, non puoi ricordartene un giorno su 365! Anche perché allora quel giorno lo fai per te stesso, per compiacerti della tua stessa bontà, non per l’altro», pensò a voce alta Piera.
Dunque la presenza, la coerenza, ecco i veri nemici dell’indifferenza verso il prossimo.
Ma poi l’altro chi è? Lo aveva spiegato nell’omelia il sacerdote proprio la domenica appena trascorsa: l’altro è appunto il mio prossimo e chi è più prossimo di colui che è nella propria famiglia? Eppure i legami sono ormai sempre più laschi, si fatica a tenere insieme la famiglia nucleare, figuriamoci andare oltre! E Piera era decisamente “oltre”, dunque era sola, perché la solitudine ha molte forme e la peggiore è quella di chi ha congiunti. Basti pensare ai tanti genitori anziani che hanno figli, che di loro però non si curano. Esiste una solitudine peggiore?
Piera pensò che era stata sola a sufficienza in quei lunghi Natali ed era tempo di festeggiare quel 25 di Dicembre non “a traino” di qualcuno, ma come protagonista in un giorno di gioia sinceramente condivisa.
Prese il telefono e chiamò, precedendo il solito invito dell’ultima ora, e disse che il giorno di Natale sarebbe stata impegnata in parrocchia. Sentì dall’altra parte una sorta di sollievo malcelato o forse così le sembrò. Del resto anche i gesti che nascono come generosi, quando sono cadenzati, finiscono per diventare obblighi gravosi per chi li compie.
Poi chiamò il parroco e diede la propria disponibilità. Altro entusiasmo salutò quella sua telefonata e chiuse la chiamata, felice.
Si guardò intorno e si accorse che a pochi giorni dal Natale nessun segno di festa addobbava il suo piccolo appartamento. Prese le chiavi e scese in cantina: avrebbe fatto l’albero e anche il presepe.
Quest’anno il Natale avrebbe avuto un senso nuovo.