Cento donne. Valeria

Cento donne. Valeria

«Odio i compleanni! Settant’anni saranno pure un traguardo, ma non cominciamo con i bilanci!

Gisella non ne festeggia più da quando ne ha compiuti cinquanta, beata lei! Basta, finito. Troppe candeline su una torta sola e tutti lì a contarle. Per non parlare di quelle, orribili, che riportano il numero in bella vista. Forse faccio come lei e con quest’anno smetto. Anzi no, DA quest’anno smetto.»

I pensieri di Valeria si gonfiavano come fumetti nell’aria fredda di gennaio. Quella del compleanno era una spina che la pungolava da tempo. Sapeva che era uno scoglio più che un traguardo. In realtà non li aveva mai amati i compleanni, nemmeno da piccola: figlia unica e timida, non aveva mai saputo come organizzarne uno senza che apparisse una festicciola desolante.

Con gli anni il “problema” non si era risolto, perché di amiche ne aveva poche, di figli uno, perché così aveva voluto il buon Dio, e quindi… A lei sarebbe piaciuto che questo teatrino finisse una buona volta. Era contenta di essere al mondo e questo le bastava. A suo marito, che sapeva di questa sua ansia, rimproverava di non essersi mai inventato nulla per “salvarla”.

Si accorse che più rimuginava e più si incurvava: era vera allora quella faccenda della postura, perché si sentiva addosso il peso dei propri pensieri. «In fondo è il mio compleanno e dovrei fare ciò che mi va, dopotutto la festeggiata sono io! Ma come faccio?!»

Presa dai propri pensieri, Valeria superò la pasticceria. Se ne accorse quando si ritrovò all’incrocio. Il semaforo era verde, ma rimase ferma. «Potenza di Freud!» pensò. Se le era passata davanti (ed era uscita solo per ordinare la torta!), ma l’aveva superata senza nemmeno vederla… e sentirla, perché il profumo non si poteva ignorare, visto che sul retro c’era il forno, be’ allora qualcosa voleva dire.

Certo lei, sempre così timida e remissiva, avrebbe dovuto affrontare tutti o meglio quei pochi e dir loro: «Cari signori il compleanno è il mio e decido io come passarlo.»

Ma non era Gisella né aveva la sua prontezza di spirito o la sua determinazione.

Accidenti, non era Gisella d’accordo, ma aveva ormai settant’anni! Voleva finire la propria vita portandosi sempre appresso quell’ansia da compleanno? In fin dei conti ne aveva dati agli altri sessantanove, era arrivato il momento di serbare per sé tutti quelli che le sarebbero rimasti.

All’ennesimo verde passò. Con un passo solerte e deciso si incamminò verso la sala da tè dietro l’angolo, le piaceva tanto e ci andava pochissimo, perché la pensione era quella che era. Si sarebbe regalata un magnifico tè, con tramezzini e dolcetti, ecco come avrebbe festeggiato quel giorno.

Aveva già pensato a cosa avrebbe risposto a tutti: «Ho sempre odiato le feste di compleanno e per il mio settantesimo me ne libero.» Si era preparata per bene la risposta e l’atteggiamento: non era tipo da improvvisare fino a questo punto.

In quanto ai bilanci non occoreva farne, in fondo era una donna serena e questo era ciò che contava.

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