L’amore puro di Kaleem

Oggi ci preoccupiamo tutti dell’instabilità dei legami, della superficialità dei sentimenti, della essenzialità dell’atto fisico per la confermazione di un sentimento, eppure… c’è Kaleem!

Un’eccezione? Forse, ma sicuramente un testimone che l’Amore ha più volti, più gradi, più espressioni.

L’incontro con questo giovane pakistano è stata una boccata di aria fresca, una porta su un Paese difficile e complesso, un apprendere qualcosa di me. Perché è poi così: siamo anche gli incontri che facciamo, banalmente.

Kaleem l’ho notato subito, per una qualità non troppo diffusa: la mitezza. Un sorriso pronto, ma misurato da modi gentili e pacati. Mi ha permesso di entrare nei suoi racconti con semplicità e franchezza, ma non ho mai udito un’intonazione che tradisse sentimenti vili. Ha pudore e riservatezza che mai mi hanno messo a disagio.

Ecco, Kaleem è un gentiluomo! Io l’ho conosciuto così e mi auguro e gli auguro di cuore che la vita e i tempi non lo cambino.

Questa è la sua storia.

Nato in un piccolo villaggio ai confini con l’Afghanistan, vedendo da lontano sempre la bella Maham, più giovane di due anni, ha cercato con lei l’unico contatto possibile: in rete.

La loro frequentazione è tutta lì, eppure imparano a conoscersi e si innamorano con tutto lo slancio e l’incanto del primo amore di due creature che della vita non sanno che la loro difficile quotidianità, in un contesto in cui il fanatismo e la violenza sono qualcosa con cui imparare a convivere senza venirne travolti.

Si avvicina il tempo in cui Maham dovrà sposare l’uomo che la famiglia a scelto per lei e i due ragazzi decidono di fare letteralmente una follia: sposarsi. Kaleem ha 18 anni.

Non pensiamo in termini occidentali, perché in realtà lei non scappa, non può, ma manda un avvocato a suo nome – ne ha i mezzi – e, insieme dopo la scuola, richiedono in tribunale davanti all’Imam il certificato di matrimonio.

“Entrambi sapevamo che non stavamo chiedendo il nostro certificato di nozze, ma di morte, ma quando ami davvero qualcuno, allora Dio ti dà anche la forza necessaria.”

Non segue nulla. Ognuno a casa propria. La loro vita e il loro amore continuano come sempre, se non nel loro cuore, per due o tre mesi. Poi decidono di dirlo alla famiglia di lei e affrontarla.

Sanno perfettamente che rischiano entrambi la vita: un matrimonio senza il consenso della famiglia di lei – seppur legalmente e religiosamente valido – e una differenza di condizioni economiche non potranno incoraggiare il perdono. Che infatti non arriva.

La furia della famiglia di Maham è l’espressione di una cultura e di una mentalità tipiche di una famiglia di origini talebane, potente perché con membri nell’esercito e nella polizia. L’onore è tutto e Kaleem viene minacciato di morte se non divorzia e Maham allontanata.

Non l’ha più né sentita né rivista da allora, di lei non sa nulla, ma è fiducioso e continua a ripetersi che, se le fosse successo qualcosa in questi quasi cinque anni, l’avrebbe in qualche modo saputo.

La famiglia di Maham gli offre molto denaro e la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per l’Inghilterra. Lo risparmia, perché i due giovani non hanno avuto alcun modo né occasione per consumare il matrimonio. Kaleem mi confessa che è riuscito solo a darle un bacio. Non ho chiesto come, non è importante, sarebbe stata una curiosità inopportuna.

A nulla valgono le armi puntate con cui lo affrontano, Kaleem dice no ogni volta e risponde che si deve comunque morire e allora è meglio farlo per amore. Resto commossa dalla tranquillità e dall’assoluta mancanza di retorica o di enfasi con cui me lo racconta.

Kaleem resiste a offerte, a minacce, sua madre va a piangere a casa di Maham, ma niente cambia. Nell’aprile del 2015 Kaleem decide di lasciare il suo villaggio, perché in serio pericolo e teme per i suoi cari. La sua famiglia riesce a mettere da parte quel che può e così inizia il suo lungo viaggio, che lo porterà lungo la rotta balcanica.

Non gli chiedo nulla di quel tempo, non voglio metterlo di fronte a ciò che avrà di certo visto o vissuto, lascio che sia lui a sintetizzarlo nei punti essenziali fino a quel 1° maggio di quest’anno in cui arriva in Italia. Ora attende che gli venga riconosciuto lo status di rifugiato, ha con sé i documenti di matrimonio, che mi nomina spesso come a sottolinearne l’importanza non solo sentimentale, gli attestati degli studi fatti e una famiglia che lo ha accolto.

Il suo angelo è stato un medico italiano volontario che ha conosciuto in Serbia, Kaleem ora è parte della sua famiglia. Ho conosciuto Laura, sua moglie, e l’ho guardata insieme a questo ragazzo: avevano la naturalezza della quotidianità di una madre con un figlio.

La straordinarietà di alcune persone si confonde fra la nostra normalità e ci fa dimenticare il bosco che cresce silenzioso a dispetto del fragore dell’albero che cade. “Fede, Speranza e Carità. La più grande è la Carità.” L’ha detto Cristo ed è per ogni angolo del mondo. Anche non cristiano. Anche ateo.

Chiedo a Kaleem cosa faccia ora e mi dice che il suo primo obbiettivo è continuare a studiare bene l’italiano. Per quanto riguarda invece i suoi progetti, mi risponde trovare un lavoro che gli permetta innanzitutto di aiutare la sua famiglia (padre, madre, due fratelli e due sorelle), perché poveri. Non mi lascia nel dubbio e mi dice subito che no, non intende ritornare in Pakistan, ma rimanere in Italia e che spera di riunire qui la sua famiglia anche se dubita che i suoi genitori lascino la propria terra.

Concludo l’intervista chiedendogli quale sogno abbia: “Farmi una posizione e dimostrare alla sua famiglia (non dice mai il nome di Maham, come fosse qualcosa di così prezioso da tenere solo per sé) che sono alla sua altezza e di poterla un giorno riavere con me. Io so aspettare.”

L’Amore puro esiste? Sì, grazie a Dio, esiste.

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