Conversando con Arabella Girotti

Chi meglio della figlia per parlare di Massimo Girotti? Per studiare l’artista mi è stata indispensabile la bellissima monografia di Roberto Liberatori, Massimo Girotti – Cronaca di un attore, ma per conoscere l’uomo ho chiesto aiuto alla sua primogenita, Arabella.

Per me che non sono mai solita fare domande sulla vita privata è stata un’intervista un po’ difficile, ma non avevo altra strada, perché, se si vuole conoscere a fondo un attore, bisogna necessariamente conoscerne anche le vicende umane.

E questo vale maggiormente nel caso di Massimo Girotti, in cui l’uomo è perennemente sotteso all’artista.

Fortunatamente Arabella ha avuto l’amabilità e il garbo di mettermi subito a mio agio in questa conversazione così personale.

Ho avuto il piacere di conoscerla lo scorso anno e di averla in seguito rincontrata qualche mese fa alla presentazione del bellissimo libro di Evelina Nazzari, come lei figlia di un grande protagonista della storia del nostro cinema, Amedeo Nazzari.

Questo mi ha dato modo di “osare” e ho così avuto l’opportunità di conoscere meglio Massimo Girotti.

Noi ammiratori di questi grandi artisti guardiamo a loro con stima, a volte con incondizionato affetto e non consideriamo mai che spesso vivergli accanto può non essere stato così semplice o indolore.

A volte sono stati portatori di caratteri difficili, complessi, ma è poi da quel loro mondo interiore così poco lineare che hanno attinto per la propria arte. Noi è a quella che abbiamo sempre guardato e guardiamo, ma per i figli non furono che padri e spesso padri con cui fu difficile relazionarsi.

Massimo Girotti non è sfuggito a questa regola. Fu un uomo chiuso, schivo, complesso, introspettivo, introverso. E severo. Innanzitutto con sé stesso, prima ancora che in famiglia.

Un padre spesso assente a causa di un lavoro che per sua natura era poi portatore d’incertezze, pur non avendo nella realtà dei fatti mai causato necessità o effettive difficoltà, proprio per la capacità di Girotti di gestire la propria carriera, che terminò solo con la sua morte.

Una vita non comune quella degli aristi, che può far crescere in fretta o in solitudine i propri figli, che può far sentire loro il bisogno di quella “normalità” vissuta dai loro coetanei o che da grandi può anche far sentire il peso del confronto.

Un uomo, Girotti, che della misura aveva fatta la propria modalità di comunicazione, nell’arte come nella vita: essenziale, ponderato, ma determinante.

Lungi dall’essere il padre con cui giocare, col quale trascorrere vacanze o col quale sciogliersi in confidenze fu però fondamentale nella loro formazione.

Arabella ammette che quel continuo spingere lei e il fratello Alessio verso il sapere ha finito poi col dar loro gli strumenti per affrontare la vita.

Perché la cultura ti aiuta a difenderti, ad affrontare l’esistenza con maggior consapevolezza, ma anche a evadere o a trasformarla e questo doveva essere ben chiaro anche a Massimo Girotti.

Arabella mi dice: «Oggi mio padre è tutta la gioia che ho dentro». Una frase bellissima  che mi comprova che ogni esisitenza si misura sui frutti che lascia dietro di sé, mai sull’immediato, perché l’immediatezza falsa, non considera la prospettiva, non ha mai lo sguardo lungo sul tempo a venire.

Qualunque considerazione fatta poi alla luce dei nostri tempi non avrebbe grande valore: allora il rapporto padri-figli era sostanzialmente gerarchico. E questo valeva per tutte le famiglie.

Una volta adulti noi figli finiamo poi per diventare un po’ genitori dei nostri stessi genitori e a questa legge nessuno sfugge.

Così Arabella, che è sempre stata un punto di riferimento nella vita del padre soprattutto dopo la prematura morte della madre Marcella, si è ritrovata a essere ancor più protettiva verso Massimo, che dei classici luoghi comuni sull’attore aveva tenuto per sé solo una certa fragilità e insicurezza.

Il culto di sé e della propria memoria invece non lo aveva mai sfiorato, tant’è che ho appreso con rammarico che non esiste alcun fondo: Girotti, essenziale e umile, sempre teso a ciò che davvero conta, non ha accumulato né testimonianze né memorabilia.

Ciò che aveva vissuto, come artista, ma anche come uomo, lo tenne per sé.

Un uomo coerente, estremente sicuro di sé, in definitiva, pur nelle umane debolezze e fragilità, perché non bisognoso nella vita reale dell’altrui plauso, visto che il giudizio più severo al quale rispondere era il proprio.

Girotti sono certa sia appartenuto a quella schiera sempre più esigua di uomini che devono rispondere innanzitutto alla propria integrità, quelli per cui la stima di sé stessi vale più del giudizio altrui.

Incalzata dalla mia domanda, Arabella mi confessa che del padre vorrebbe che restasse il ricordo della persona per bene che è stata, del bravo e stimato attore che fu e che egli stesso non comprese fino a che punto.

In due ore si parla tanto, si chiede e si ragiona di molte cose, ma non ho sentito il bisogno di trascrivere i singoli fatti né le confidenze nei particolari, perché ciò che ho voluto condividere è il senso di ciò che mi è stato detto e l’idea che ne ho ricavata.

Non so raccontare i fatti che non mi appartengono, nemmeno per mestiere, perché qualunque parola usassi risulterebbe sempre riduttiva e potrebbe prestare il fianco a considerazioni spicciole.

Dietro a ogni racconto ci sono vite e sentimenti, tengo dunque per me il senso di questa bellissima conversazione e lascio a chi quei fatti li ha vissuti il privilegio di raccontarli in prima persona.

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