Tapirulàn, prima regia di Claudia Gerini

Claudia Gerini sul set di TapirulànTapirulàn è il titolo, secondo la scrittura fonetica, ma non secondo la corretta grafia per cui dovrebbe correggersi in tapis roulant.

La ragione di questo ho dimenticato di chiederla a Claudia Gerini, quando sabato ha presentato questa sua prima regia al Cinepalace Giometti di Riccione.

Ultima tappa di cinque anteprime per un film che proprio non dovrete perdervi: esce il 5 maggio in tutta Italia.

Presentato al Bifest di Bari, ha toccato Roma, Firenze, Milano e Monte Carlo prima di arrivare con l’ultima anteprima nazionale in Riviera.

Il debutto alla regia

Claudia Gerini anteprima Tapirulàn Riccione
Claudia Gerini, regista e protagonista di “Tapirulàn” all’anteprima nazionale al Cinepalace Giometti di Riccione

Tapirulàn è arrivato nelle mani di Claudia Gerini come un soggetto di diciotto pagine. Catturata dalla storia, l’attrice doveva esserne solo la protagonista, ma ha deciso poi di accettare la sfida lanciatale dal produttore Stefano Bethlen e ne ha assunto anche la regia.

Il risultato è davvero ottimo. Come attrice brillante la Gerini è fra le migliori, il suo talento è indiscusso, ma è molto brava anche in questo ruolo drammatico e come regista è stata una vera sorpresa.

Della Gerini ho sempre apprezzato il talento e al suo debutto dietro la macchina da presa sono arrivata senza preconcetti né aspettative, solo curiosità.

Un film non facile da fare

Le difficoltà di un simile film sulla carta non erano solo pratiche e tecniche, ma per così dire anche di svolgimento: una storia che non esce dai confini di una stanza facilmente diventa claustrofobica quanto gli spazi in cui si sviluppa, ma il talento ha tanti aspetti: anche quelli di saper scegliere gli ambienti, evidentemente.

La Gerini, che ha in parte collaborato alla sceneggiatura di Antonio Baiocco e Fabio Morici, ha partecipato – fra le tante cose – anche all’ideazione della location e della scenografia.

Nella stanza quelle grandi vetrate sulla vita che accade fuori sono anche il respiro delle pareti che si perdono, pur preservando quella bolla in cui la protagonista si è rinchiusa.

Di claustrofobico non c’è nulla, nemmeno quello spazio limitato che è il tapirulàn, vero set nel set, spazio vitale nello spazio chiuso di un loft, che non ci è dato però di conoscere.

Il passato corre più veloce

La protagonista ha fatto di quel nastro, che non porta da nessuna parte, il proprio perimetro. Se si ferma, non scende, ma si appollaia sui suoi braccioli. Non tocca mai terra, se non alla fine per franare difronte ai propri demoni.

Su quel tapirulàn si riposa, lì lavora come consulente psicoterapeuta on line, lì incontra il mondo, che resta però distante. Quel correre è esattamente la metafora della sua fuga da sé stessa e che non porta a nulla.

Dovrà fermarsi, scendere per guardarsi indietro e affrontare ciò da cui fugge e che non ha mai smesso di tallonarla.

Nei consigli che dà ai propri pazienti o meglio clienti, come la corregge il suo datore di lavoro (interpretato dallo stesso Fabio Morici), ci sono schegge di un’autoterapia elusa.

Un grande monitor è il filtro che le permette di fare analisi, ma non autoanalisi. Fino al giorno in cui da quel monitor si aprirà un varco nel passato.

Allora il tapirulàn perderà i propri confini, le barriere, che ne fanno più che una comfort zone l’imbocco verso un’uscita o – più correttamente – un’idea di uscita.

Correre come forma di esistenza per sopportare la vita, questa la sintesi di una trama che non vi racconterò. È un film da scoprire e che vale tutti i soldi del biglietto.

Conclusioni

Un film che non va mai in affanno, come la stessa Gerini, che di cardiofitness evidentemente nella vita se ne intende per davvero, perché recitare a quel modo mentre si corre non è per tutti i polmoni.

Una storia, che a dispetto di ciò che si può supporre, alla fine fa tirare il fiato.

Tapirulàn è scritto, interpretato, diretto, ripreso, illuminato, montato, musicato, prodotto davvero bene. Un lavoro ben fatto. Grande risorsa l’intero cast: tutti bravi con punte di vera eccellenza.

Il nostro cinema ha grandi talenti fra gli attori, ma non molti fra gli autori. Questo è un film ben scritto, nonostante la scivolosità di alcuni temi e che ha preso spunto dalla pandemia in un modo per nulla banale.

Il nostro cinema, per quantità, ormai sopravvive soprattutto con commedie non esattamente per palati fini. Per cui, quando riesce a dare titoli così ben equilibrati, è bene non perderselo.

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