Domenica 25 ottobre: doveva essere solo un appuntamento nella mia agenda, a cui tenevo molto, e invece ha coinciso con un giorno infausto per lo spettacolo italiano, che ha spento nuovamente le luci.
Prima edizione di un evento importante per chi come me si occupa di storia del cinema e primo omaggio ad un attore simbolo della stagione d’oro del cinema italiano di genere, che – come dico sempre – ha rappresentato gli ultimi anni in cui il nostro cinema ha pensato in grande, con set internazionali e importanti esportazioni.
Non è un caso che Quentin Tarantino sia partito da lì per innovare il lessico del cinema americano: nei suoi film c’è un esplicito e continuo rimando ai nostri film di allora, con una citazione d’autore di un gioiellino a suo tempo incompreso in Italia: Basta guardarla (1970) del grande Luciano Salce.
Dunque una serata che colma un vuoto, come ha detto Gianni Garko, vincitore proprio del Premio George Hilton. Un vuoto di attenzione verso un cinema fatto con grande passione e forse discontinui risultati, ma è fisiologico per ogni filone cinematografico.
Un cinema fatto innanzitutto da grandi maestranze e a tal proposito è stato ugualmente premiato Ottaviano Dell’Acqua, stuntman e dunque figura simbolo di quella stagione, i cui generi migliori sono stati lo Spaghetti western, il Giallo all’italiana e il Poliziottesco.
A differenza del cinema indiano, quello italiano non è fatto da intere famiglie o addirittura da dinastie nei settori cardine della produzione, regia e interpretazione, ma senz’altro è arte di famiglia per alcune figure cruciali fra i cosiddetti mestieri del cinema.
Uno di questi è proprio quello dei maestri d’armi e dei “cascatori”, come venivano correttamente chiamati prima di preferire l’inglese all’italiano.
Il terzo premiato è stato Nino Benvenuti, perché non è stato solo il grande sportivo che conosciamo, ma ha avuto un suo spazio cinematografico in quegli anni, anche se minore rispetto ad un altro sportivo chiamato dal cinema di genere – il Peplum – ovvero il culturista Steve Reeves.
La parte dedicata al cinema degli anni d’oro si è aperta ricordando una commedia di Mauro Bolognini del 1956, Guardia, Guardia scelta, Brigadiere e Maresciallo, interpretata da un quartetto che è un poker d’assi: Alberto Sordi, Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi e Gino Cervi.
La serata è poi stata un susseguirsi di grandi titoli, per ciascuno dei quali ha ritirato il premio un nome legato a quella pagina della nostra storia cinematografica:
- Il segno di Venere (Dino Risi, 1955): Saverio Vallone per il padre Raf
- Roma città aperta (Roberto Rossellini, 1945): Cielo Pessione Fabrizi per il nonno Aldo
- Arrangiatevi! (Mauro Bolognini, 1959): Elena Anticoli de Curtis per il nonno Totò o meglio Principe Antonio de Curtis
- La notte brava (Mauro Bolognini, 1959): Antonella Lualdi, sempre deliziosa
- La dolce vita (Federdico Fellini, 1960): Rino Barillari, il re dei paparazzi, simbolo di quel film e di quell’epoca
- I soliti ignoti (Mario Monicelli, 1958): Ivanka Schroeder e Nils Salvatori per Renato, rispettivamente sua ultima compagna e il loro figlio
- Le notti di Cabiria (Federico Fellini, 1957): per il padre Amedeo Evelina Nazzari, che non ha potuto essere presente, ma che ha inviato un videomessaggio
Non è mancato un titolo amato dal grande pubblico, 7 chili in 7 giorni (Luca Verdone, 1986), che resta ormai un classico per un decennio non facile per il nostro cinema, quali furono gli anni Ottanta. A ritirare il premio lo stesso regista.
Poteva un evento che celebra il cinema italiano degli anni d’oro dimenticarsi di uno dei mestieri simbolo di Cinecittà? Ovviamente no e a ritirare il premio in ricordo di Pippo Spoletini, capostipite di una famiglia di “cacciatori di volti”, di responsabili comparse e comparsa egli stesso con i suoi fratelli, è stato Gianfilippo Spoletini.
A chiudere Igor Righetti, premiato per il suo libro Alberto Sordi segreto, un tale successo editoriale da essere arrivato in un volgere di mesi alla sesta edizione, pronto per essere tradotto in cinque lingue, fra cui arabo, russo e cinese. Questo a far capire chi è Alberto Sordi nel mondo.
Dunque un 25 di ottobre che doveva essere un giorno mesto per la drastica e innecessaria decisione del governo, che però si è chiuso – nei fatti – con una magnifica festa, celebrativa di un’arte che non morirà mai, per dirla con Mastroianni.
Una serata fra film, artisti, figli e nipoti d’arte, tutti gioiosamente uniti nel riconoscersi in un’unica grande “famiglia”, così come era vissuto in quegli anni d’oro il cinema italiano, con quello spirito, pur nelle diversità e a volte contrasti, ma in una gioia fatta di passione condivisa e improvvisazione creativa, fra idee nate a volte in un convivio, così come avvenuto domenica sera, quando – ligi alle prescrizioni – si è cenato a chiusura dell’evento, discutendo di nuovi progetti e di tempi andati.
Si è ricordato, si è goduto, si è discusso in un’atmosfera che mai si è tinta di malinconia, perché il cinema degli anni d’oro è una realtà saldamente incardinata nel presente, pur in tempi in cui tutto è cambiato nel cinema italiano.
Dunque questo mondo incantato si ferma, ma non nei progetti e nei piani dei protagonisti.
Perché della creatività, dell’arte non si può fare a meno. Per alcuni sembra un bene voluttuario, facilmente sopprimibile, ma non è così, perché la cultura – è il cinema è cultura! – è “pane”, per chi di esso vive e per gli spiriti che se ne nutrono.
La cultura è un bene necessario, innanzitutto per le libertà individuali quali quella d’espressione, ma è anche necessario per affinare o interrogare il pensiero e questo non può né si deve fermare, perché il pensiero è libertà e la libertà, in tutte le sue declinazioni, è il fondamento di ogni democrazia che voglia dirsi tale.
Ottima cronaca e riflessioni tutte condivisibili e quanto mai opportune.
Professore, la ringrazio per questo suo messaggio.
Grazie Aida per i tuoi articoli sul cinema, che sono sempre molto istruttivi ed interessanti. Meno male che il cinema c’è. Ciao e buon lavoro da Flavia
Grazie, carissima Flavia.