Amedeo Nazzari, oltre il melodramma

Yvonne Sanson e Amedeo Nazzari in Tormento di Raffaello Matarazzo, 1950

Come spettatrice ho conosciuto Amedeo Nazzari nei film “strappalacrime” di Raffaello Matarazzo, il più famoso regista italiano di melodrammi.

L’espressione, nata già come negativa dalle colonne dei critici di allora, ha finito per ridurre nell’immaginario collettivo l’intera carriera di Nazzari a questi film, che la televisione ritrasmette di tanto in tanto quasi dimentica di un’infinità di altri titoli, che ho poi scoperto nel tempo.

Arrivato al cinema dalla porta principale, vi entrò per la prestanza fisica, ma forte di tanto teatro già fatto, quindi assolutamente consapevole del proprio mestiere.

Con gli anni ho imparato a misurarmi con tante storture della memoria storica del nostro cinema, spesso dovute alla supponenza boriosa di certa critica e a volte dovute a faziosi meccanismi dello stesso ambiente del cinema.

Amedeo Nazzari è uno di quei grandi attori scivolati nell’oblio pur rimanendo noti: sembra un paradosso, ma nel cinema non è cosa poi così impossibile.

Il suo nome, il suo volto restano popolari, ma la sua carriera oggi è sconosciuta ai più. Destino comune ad altri artisti, mentre molti altri hanno perduto perfino la notorietà del proprio nome conservando solo quella del proprio volto o della propria voce. Eppure come potremmo mai raccontarla questa nostra magnifica storia del cinema senza tutti loro?

Amedeo Nazzari debuttò come protagonista sul grande schermo con un film che ancora oggi resta un gioiellino, Cavalleria di Goffredo Alessandrini del 1936, che potrete vedere qui.

In verità il debutto cinematografico vero e proprio era avvenuto l’anno precedente in Ginevra degli Almieri di Guido Brignone, grazie alla protagonista Elsa Merlini, che tanto aveva insistito perché Nazzari si dedicasse anche al cinematografo, come allora si chiamava.

L’esperienza non lo aveva entusiasmato e per acconsentire al film di Alessandrini buttò lì la richiesta di un compenso dieci volte quello offerto, che ottenne!

E dire che a consigliargli di accettare il ruolo fu proprio la moglie del regista: Anna Magnani. Proprio Nannarella, che invece al cinema guardava con grande interesse, ma continuamente dissuasa dal marito – allora regista famoso -, perché non fotogenica.

Bisogna rifarsi a quei tempi per capire quanto la grande Magnani fosse in effetti lontana anni luce dai visini di bambola del Cinema dei Telefoni Bianchi. Nel film ottenne poi una microscopica parte di sciantosa con tanto di parruccona bionda, ma ripresa in campo talmente lungo da riconoscerla a fatica.

Fin da subito Amedeo Nazzari seppe conquistarsi la stima dell’ambiente professionale e l’amore del pubblico. Cosa avvenne da quel film in poi è davvero storia del cinema. Ma anche storia del Paese e del costume, perché i film raccontano spesso anche questo.

La sua esperienza e il suo talento erano tali che, quando la RAI inaugurò i propri programmi e iniziò a produrre gli sceneggiati, fu subito chiamato fra i protagonisti.

Quando sento dire che gli sceneggiati di allora “oggi si chiamano fiction”, mi si drizzano i capelli. C’è un abisso fra i due generi!

Assodato che alcune (poche in verità) fiction sono veramente ben fatte, va detto che gli sceneggiati nascevano innanzitutto nel solco della missione dell’allora mamma RAI ovvero istruire e unire culturalmente un Paese, che aveva ancora sacche di analfabetismo e sicuramente povertà diffusa.

Gli sceneggiati, soprattutto quelli dell’epoca del bianco e nero, portarono i grandi romanzi e le grandi pièce sul piccolo schermo e dunque al grande pubblico. Venivano girati in presa diretta dopo lunghe prove, come per un debutto teatrale e abbisognavano di attori veri, che dal teatro venissero.

Al contrario, le fiction di oggi vivono molto spesso di volti e di nomi che popolano le riviste e un certo tipo di programmi prima ancora che un set. Quindi la mancanza di mestiere – quando non di talento vero e proprio – è una costante a macchia di leopardo di questi prodotti televisivi.

Non so cosa avrebbe detto Amedeo Nazzari di certi sottoprodotti che girano oggi in tivvù, di certo se ne sarebbe tenuto alla larga. Non per superbia, ma per rispetto di sé e del proprio pubblico, lui che non si buttò mai via per un cachet o per una copertina.

Per avvicinarvi a questo grande e affascinante attore vi consiglio un libro davvero bello, che la figlia Evelina ha pubblicato nel 2008, ma che la casa editrice Edizioni Sabinae ha appena ristampato in occasione del quarantennale della sua scomparsa: Amedeo Buffa in arte Nazzari.

L’autrice, di cui qui ho recensito l’ultima toccante opera, scrive nella prefazione: «Questo non è un libro di memorie. E nemmeno la biografia di mio padre. È proprio quello che sembra: un album di famiglia. Disordinato come me.».

In realtà questo bel volume è molto di più, perché ogni foto porta con sé un commento o un racconto, a volte scritto dall’attore stesso. Si entra così in punta di piedi, passo dopo passo, con molta grazia nella vita e nella carriera di un grande protagonista del nostro cinema.

Amedeo Nazzari ci lasciò il 5 novembre di quarant’anni fa, ma ancor oggi possiamo ritrovarlo e i giovani scoprirlo in ogni sua pellicola, negli sceneggiati di allora e perfino in un vecchio Carosello, quando il cinema lo aveva in parte trascurto, ma non il suo pubblico, che mai l’abbandonò.

In copertina, Amedeo Nazzari ne Il brigante Musolino di Mario Camerini, 1950.

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